vannerieGeneviève Henrot Sostero

L’artigiano tesse il suo colloquio con la natura che lo cir­conda: per questo continua ad affascinare. In Ruanda, un ruolo importante viene tuttora riconosciuto alla vannerie d’art, ovvero l’arte di tessere o intrecciare fibre vegetali per foggiare oggetti de­co­rativi o di uso casalingo: motivi geometrici ottenuti con i colori genuini di diverse fibre, o tinti con prodotti naturali, ornano stuoie, cestini, pannelli divisori. Le fibre naturali maggiormente usate dalle donne artigiane sono le erbe palustri, il bianco sisal delle montagne, la scorza di banano e la sua foglia con il picciolo nero.

agasekeI termini di agaseke, uduseke, indumane, inkangara o nyirama­buno designano altrettante fogge: cestini col coperchio a pagoda, singoli o in serie decrescente come matriosca, oppure vasi alti e capienti, o ancora panciuti come otri. Il cestino agaseke, per esempio, era destinato a custodire, oltre ai gioielli personali della sposa, i segreti o i desideri mormorati nel suo modesto vano e prontamente imprigionati sotto l’ermetico coperchio: una scatola di Pandora africana. Con gli stessi motivi decorativi, in cui alternano raramente più di due colori (bianco/nero, bianco/ rosso, bianco/verde…), vengono intrecciati anche scodelle o vassoi, vagli o scrigni e perfino gioielli.

fibreLa varietà delle fibre e dei loro colori naturali si combina con la predilezione per motivi geometrici (triangoli, zigzag, linee seghettate, spirali) e con la diversità delle tecniche di lavorazione: l’uruhin­du o uncinetto appuntito consente di “cucire” insieme strisce di fibre raccolte a fascio; altre tecniche, come l’igihisi praticato a Gikongoro o l’inuanja, specialità di Butare, contraddistinguono gli stili e le specialità locali.

Certo, l’impatto con la civiltà occidentale è andato ad incrinare quella tradizione artigianale plurisecolare, contribuendo a relegarla nelle campagne più remote. Tuttavia, si ritiene che l’arte della tessitura vegetale possa ancora svolgere un ruolo socioeconomico molto importante. Il saper fare delle tecniche di fabbricazione e il gusto dei motivi estetici si sono potuti tramandare grazie ai centri di apprendistato, alle cooperative artigianali o alle associazioni femminili. Infatti, le donne ruandesi hanno talvolta saputo dare alla loro difficile condizione, conseguenza del terribile genocidio del 1994, una risposta collettiva autonoma, trasformando molti settori, tra cui l’artigianato, in forma di sussistenza e fonte di reddito.

Un tale saper fare manuale è sembrato un prezioso patrimonio da salvaguardare. Andavano urgentemente salvate la maestria, l’energia, la pazienza che la vannerie e i suoi creatori esprimono in oggetti estremamente accurati e raffinati. Nel 2007, venne in mente a Bettina Scholl Sabbatini, Soroptimista lussemburghese e scultrice, l’idea di ricuperare l’ancestrale tecnica dell’agaseke (in kinyarwanda, si chiama ubu­bo­shyi bu’uruhindu) rivisitandola in chiave design, in modo da ampliare e rinnovare le proposte di oggetti da lanciare su un mercato internazionale. Trovò nel club Soroptimist di San Marino, già gemellato con il club di Kigali e fortemente impegnato in Ruanda, un alleato convinto della bontà della sua idea. Insieme, individuarono all’Università di San Marino dei designer aperti all’idea, che accettarono di promuovere ricerche in design fondate sull’uso delle fibre naturali locali e, data la sottigliezza della tecnica, proponendo il gioiello come oggetto di studio. Così nacque Atelier Rwanda.

porticoUna prima elaborazione del progetto sui gioielli nel settembre 2008 sfociò, presso le Università collegate di San Marino e dello IUAV di Venezia, nella creazione di una ventina di modelli, che furono esposti nella mostra Rwanda un gioiello nel verde tenutasi a San Marino nel maggio 2009 e replicata a Venezia nel giugno 2009.  I disegni si sono poi concretizzati in prototipi (foto a destra) rica­vati con colla e spago, in sostituzione, la prima, dell’uncinetto a lancetta, e il secondo, della fibra intaratara, entrambi protagonisti della tecnica Ububoshyi bu’uruhindu. Un unico obiettivo – innalzare un materiale povero ad un alto valore simbolico e commerciale – è sfociato nella creazione di gioielli diversissimi fra loro e dalla potente personalità. 

iuavCon l’aiuto della Fondazione Carisp-SUMS delle Repubblica di San Marino, l’Atelier Rwanda si sposta poi in Ruanda per due workshop nel 2009 e nel 2010. Punto di forza culturale del progetto: lo scambio diretto e reciproco di conoscenze e competenze tra le artigiane e gli studenti in design d’Italia, di San Marino, ma anche di altri paesi del mondo. Progettare dialogando, creare a più mani, dissolve le diversità culturali nell’unità collettiva del gesto, quando il concept del designer abbraccia la carica simbolica dell’artigiano. Il progetto migra poi in Italia, assieme al docente responsabile il Professor Gaddo Morpur­go, all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia (IUAV), sotto l’egida della Fondazione Buziol e con la collaborazione del KIST di Kigali. Nel dicembre 2009 i primi gioielli veri (foto in basso a sinistra), ovvero prodotti secondo la specifica tecnica delle fibre vegetali dalle artigiane ruandesi, cominciano ad arrivare in Europa e vengono esposti, questa volta, niente meno che alla Biennale di Venezia (agosto-settembre 2010), nella cornice prestigiosa e meritata del primissimo padiglione riservato al Ruanda nella storia della Biennale. Contestualmente, un premio internazionale del Soroptimist viene attribuito congiuntamente al Single Club di San Marino e all’Unione Italiana.

gioielli veriL’Unione Soroptimist d’Italia, che da decenni profonde tante energie e fondi a favore di diversi paesi dell’Africa, ha davvero abbracciato con fervore e fiducia il progetto Atelier Rwanda. Alla stregua di tanti altri progetti portati a termine in Africa nel corso degli anni (scuole, ospedali, orfanotrofi, pozzi, strutture sanitarie…), l’Unione italiana ha contribuito con cospicui fondi a finanziare: - il secondo workshop di Atelier Rwanda per la realizzazione dei primi prototipi di gioielli (Unione 2010); - diversi mesi di formazione per tutte le artigiane di Kigali (Unione 2011); - il marketing del prodotto (Firenze e San Sepolcro 2012). Seguendo il suo esemplare impegno, e convinto anche esso dell’intelligenza del progetto, il Kiwanis di Esch-sur-Alzette appoggia generosamente il Soroptimist  International nell’esten­dere l’apprendistato a Gisenyi, nel Nord-Est del Ruanda, sulla punta estrema del lago Kivu.  

gruppoCosì si allacciano collaborazioni benefiche tra diversi paesi dell’Europa e tra club service distinti. Da una parte, il club di San Marino, con un consistente sostegno dell’UNESCO e un costante supporto dell’Unione italiana ha promosso al Centro San Marco di Kigali (foto a destra) la fondazione di una coo­perativa artigianale (chiamatasi Agatako, “gioiellino”), votata alla produzione degli oggetti usciti dal crogiuolo del design.

A sua volta, l’Italia ha incoraggiato la formazione delle artigiane di una seconda cooperativa a Gisenyi (chiamatasi CAMK Kivu, foto a destra), al fine di garantire un’ampia produzione consona con un mercato che si spera attratto dalle proposte design. L’Italia opera in modo intenso e continuativo a sostenere il buon andamento del progetto, finanziando interamente la costruzione dell’edificio che accoglierà stabilmente questa seconda cooperativa di Gisenyi, promuovendo la diffusione delle linee di gioielli e lanciandone in Italia la commercializzazione. Il club S.I. di Firenze ha appena pubblicato uno splendido catalogo artistico che permette di scoprire una breve storia del Ruanda e di ammirare tutti i gioielli in fibre realizzati fino a oggi dalle artigiane delle due cooperative. Il club S.I. di San Sepolcro ha finanziato il marketing delle linee di prodotto, la creazione di un logo e l’idea­zione del packaging dei prodotti.

suggerimentiQuanto ai club S.I. del Nord-Est d’Italia, uniti attorno a questo progetto, sono attivi su questo te­ma già da diversi anni, con raccolte fondi di respiro regionale o nazionale, conferenze, viaggi in loco, contributi alla formazione, sinergie internazionali. Gli stessi club hanno anche recentemente intavolando una interessante collaborazione con la cooperativa artigianale orafa di Vicenza Primavera 85, per contribuire alla occupazione dei diversamente abili formati e operanti in cooperativa, e per garantire alle nuove linee una lavorazione dei metalli di ottima qualità e finitura. È in questo contesto e in questo spirito che gli stessi club del Nord-Est organizzando per l’anno scolastico 2012-2013 il concorso design “Doniamo un’idea”, al fine di congiungere le sinergie dei giovani designer delle scuole e diverse categorie di artigiani italiani e stranieri, attorno a un medesimo sogno che sta diventando realtà.

Si capisce come la cooperativa artigianale pos­sa favorire il rinnovamento di figure professionali ricche di saperi e saper fare tradizionali, e saldamente ancorate alla storia e all’identità del proprio territorio. È proprio questo tipo di economia rurale, il principale obiettivo del progetto Atelier Rwanda. Ci si propone di partire dalle risorse umane, dai materiali, dai motivi e le tecniche specifiche del territorio per innovare e diversificare l’artigianato. Faccia a faccia, mano nella mano: i legittimi custodi e detentori di una cultura ancestrale, patrimonio nazionale, assieme agli attori europei di un design inteso come mediatore strategico tra cultura materiale e innovazione.

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